Migranti, quei corpi in fondo al mare e le vie sicure che ancora non ci sono

Redattoresociale.it – L’ultima tragedia che allunga la lista nera dei morti in mare di quest’anno ha riaperto il dibattito sulla rotta più pericolosa al mondo, quella del Mediterraneo centrale. Ma ad oggi un’alternativa reale non c’è. L’appello del Moas: “Avere coraggio, creare canali umanitari per evitare nuove morti”.

Foto di UNHCR

ROMA – Li hanno ritrovati abbracciati sul fondo del mare: madre e figlio erano partiti dalla Tunisia per raggiungere la Sicilia e l’Europa, ma non ce l’hanno fatta, l’imbarcazione su cui viaggiavano è naufragata il 7 ottobre scorso. Sulla nave, secondo le testimonianze c’erano almeno 50 persone stipate in dieci metri, 22 sono stati tratti in salvo dalla Guardia costiera italiana mentre 12 corpi sono stati ritrovati due giorni fa nei fondali di fronte a Lampedusa. L’ultima tragedia che allunga la lista nera dei morti in mare di quest’anno ha riaperto il dibattito sulla rotta più pericolosa al mondo, quella del Mediterraneo centrale. Secondo l’ultimo report di Unhcr da gennaio a settembre 2019 circa 87.000 persone sono arrivate in Europa lungo le rotte del Mediterraneo – cifra in calo rispetto alle 102.700 persone giunte nello stesso periodo del 2018. Oltre mille sono invece le morti. “Il traffico di esseri umani non si risolve non le barriere ma con le vie sicure e legali, così in mare nel Mediterraneo, nell’ Egeo,in Bagladesh e negli altri posti del mondo” sottolinea Regina Catrambone, cofondatrice e direttrice del Moas, la prima ong  che nel 2014 iniziò a operare il salvataggio in mare con una nave umanitaria. “Da quando abbiamo iniziato nel 2014 lo abbiamo sempre detto: l’unica via per fermare questo sterminio silenzioso sono le vie legali e sicure – spiega a Redattore sociale -. Sono 19.000 le persone che hanno perso la vita dal 3 ottobre del 2013 al 30 settembre del 2019 nel tentativo di attraversare il Mediterraneo. Quanti esseri umani dovranno morire prima di mettere un freno a questa strage?”.

Secondo Catrambone i  flussi non possono essere fermati. “Possiamo cercare di governarli – dice – ma non possono essere fermati, altrimenti sarà una battaglia contro i mulini a vento. Oggi abbiamo le istituzioni che non cooperano più con le ong mentre i trafficanti di uomini si coordinano bene tra loro. Dobbiamo ripartire da qui: da quel coordinamento tra ong , Guardia Costiera e tutti gli attori in mare che avevamo creato nel 2014 con le operazioni Mare nostrum e Mare sicuro”. Quello che sta succedendo in Turchia e in Siria, secondo la fondatrice del Moas porterà a nuovi sfollati: “La guerra non risolve, peggiora le cose – aggiunge – nel 2019 abbiamo conosciuto e documentato bene sia la situazione in Libia che quella nel Mediterraneo. Oggi si va avanti per tentativi: che l’accordo di Malta non sarebbe durato era chiaro, perché è un accordo tampone, per evitare di tenere le persone bloccate su una nave. La verità è che oggi serve coraggio: servono vie legali e sicure, attraverso corridoi umanitari, sponsorship private con visti per lo studio, evacuazioni dalla Libia e reinsediamenti. ‘Safe and legal route’ è la campagna che abbiamo lanciato da anni, perché vedendo la crudeltà del mare avevamo dall’inizio ben chiaro che non si può fare solo il salvataggio in mare. Dobbiamo coordinarci, anche attraverso l’uso di tecnologia aerea per salvare le persone, ma oggi più che mai bisogna rendere reale l’alternativa sicura, per evitare altre tragiche morti”.

© Copyright Redattore Sociale