Proteste pacifiche dei superstiti eritrei per il divieto di assistere alle commemorazioni delle vittime della strage di Lampedusa

Il 21 ottobre è stata una giornata di trasferimenti e di proteste a Lampedusa. Rimasti ormai in pochi gli ospiti del CSPA, poco più di 100, per la maggior parte provenienti dall’Eritrea insieme a pochi subsahariani dell’Africa occidentale. Trasferiti ieri adulti e nuclei familiari di origine siriana con un aereo speciale partito intorno alle 14.00, proprio mentre si stava svolgendo in altri punti dell’isola una manifestazione organizzata dai superstiti eritrei rimasti ancor al centro di prima accoglienza di Lampedusa.

La protesta pacifica si è svolta principalmente davanti l’ingresso del CSPA, in cui una cinquantina circa di migranti eritrei hanno prima sospinto la cancellata fino ad aprirla, e si sono poi seduti sul suolo della strada che collega il centro al resto dell’isola, ritardando le operazioni di trasferimento degli altri migranti. Una rappresentanza degli stessi Eritrei, un’altra cinquantina circa, si è invece recata davanti alla sede del comune, bloccando per 45 minuti circa la strada antistante, per portare dinnanzi alle istituzioni locali le ragioni della protesta, attraverso la quale i migranti hanno espresso la richiesta di partire per Agrigento per assistere alla celebrazione delle commemorazioni degli gli amici e parenti morti lo scorso 3 ottobre. I manifestanti sono stati poi invitati a entrare dentro gli uffici del comune per sgomberare l’area, permettendo loro di riunirsi e discutere tra loro in attesa di una risposta da parte delle istituzioni.

Alcuni di loro avevano precedentemente (sabato scorso per l’esattezza) inviato un fax contenente tale richiesta, ricevendo tuttavia parere negativo da questura e prefettura. E nemmeno ieri è giunta alcuna risposta positiva, nonostante la fermezza con cui hanno proseguito nelle loro rimostranze, fino a raggiungere qualche momento di agitazione quanto la “delegazione” eritrea in comune è stata raggiunta dal resto dei compatrioti accorsi dal centro di accoglienza. Il Comune ha comunque offerto loro, come compromesso, quanto era in grado di poter loro concedere, ossia l’allestimento di uno schermo nella zona antistante la sede dell’area marina protetta per permettere loro di vedere comunque la cerimonia. Tuttavia la comunità eritrea in protesta ha rifiutato la proposta e, avendo appreso il definitivo parere negativo circa l’eventualità di parteciparvi di persona, ha invitato le forze dell’ordine e le autorità istituzionali a seguirli in quello che si è poi rivelato un corteo pacifico.

Gli eritrei si sono così messi in marcia, senza comunicare però le loro intenzioni pacifiche di protesta contro il silenzio con cui sono state accolte le loro richieste. Così dopo l’apprensione iniziale che ha fatto allertare anche i medici del poliambulatorio, i migranti hanno percorso, scortati da Carabinieri giunti nei luoghi della manifestazione, il porticciolo turistico fino a raggiungere il molo Favaloro (luogo in cui furono inizialmente deposti i cadaveri recuperati in mare), per poi dirigersi fin sopra le scogliere sovrastanti cala Croce, in un punto in cui, riuniti in preghiera, potessero osservare l’area in cui naufragarono i loro cari. Hanno così dato vita alla loro commemorazione, gettando fiori e lettere in quel punto sul mare, fortunatamente al riparo dalle contestazioni che contemporaneamente facevano da sfondo alla commemorazione ufficiale svoltasi ieri pomeriggio ad Agrigento. Cerimonia alla quale, oltre al sindaco Nicolini, non ha partecipato, si apprende, nemmeno il primo cittadino agrigentino Zambuto, che l’ha definita “una passerella per politici”.

Ad Agrigento in effetti si è consumato ieri, agli occhi dei superstiti eritrei, un paradosso forse troppo amaro da farlo passare in sordina; a commemorare i loro parenti e amici, c’erano, oltre ad esponenti del governo italiano, alcuni rappresentanti di quello stesso regime militare da cui sono fuggiti rischiando di morire.
Proprio ieri il mare di Lampedusa ha riconsegnato all’isola un altro corpo.

Amare ma non prive di speranza sono state le parole del sindaco Giusy Nicolini, invitata a introdurre ai Lampedusani il nuovo parroco Don Mimmo subentrato a Don Stefano, punto di riferimento per la comunità che ha lasciato l’isola la settimana scorsa. Il Sindaco ha voluto sottolineare come il mare, nel restituire i cadaveri, sembra voler mostrare una ad una le vittime di queste tragedie al mondo intero, e non solo ai Lampedusani che a queste tragedie hanno assistito direttamente. Proprio per questo, affermava, si è recata ieri a Roma all’incontro con il Presidente Napolitano e la Presidente della Camera Laura Boldrini, per chiedere cioè che a queste tragedie segua una svolta, un cambiamento, e che Lampedusa sia messa in condizione di far fronte a difficoltà del genere. Perche Lampedusa, sostiene sempre il suo Sindaco, paga un prezzo troppo alto nell’essere periferia d’Europa, in termini soprattutto di ritardi infrastrutturali che non le consentono di fronteggiare con forza gli eventi cui è esposta. Un’esposizione che non le deriva solo dalla sua posizione geografica, ma che è anche conseguenza delle ingiustizie che a sud del suo mare provocano la fuga verso le sue coste di tanti uomini e donne, cui Lampedusa è legata da un destino comune.

Il Sindaco sostiene con fierezza come Lampedusa abbia dato prova di solidarietà e generosità al mondo intero, come hanno potuto testimoniare i tanti giornalisti stranieri e non solo italiani giunti nell’isola. Ma adesso, prosegue, chiede di uscire dall’emergenza, e di dotarsi di infrastrutture, trasporti, scuole per poter avere una vita normale. Alle parole del sindaco fanno eco anche alcune testimonianze dei Lampedusani: “siamo stanchi di tanto dolore e della nostra impotenza per fronteggiarlo”, afferma una cittadina durante la stessa cerimonia di insediamento del nuovo parroco.

La Redazione di Borderline Sicilia Onlus