Le feste natalizie e la solitudine degli invisibili

Il frastuono che ha accompagnato l’organizzazione delle feste di Natale in tempo di pandemia, oltre a stridere innanzi ai morti per colpa del Covid-19, assume un carattere ancora più ridicolo di fronte a coloro che non possono neanche permettersi di immaginarlo, il Natale.

Adama lo avrà trascorso in una carrozza di treno abbandonata, Peter in un casolare nelle campagne marsalesi insieme ad altri 18 invisibili come lui, Osas invece sarà stata tra le grinfie di un uomo che la sfrutterà magari dopo essere andato in chiesa per la santa messa di Natale, Amadou sicuramente sarà rimasto nel ghetto di Campobello nella sua casupola di legno e teli, ed infine Malik avrà cercato ristoro in una delle tante panchine di Palermo che al momento vanno a ruba tra gli invisibili che vivono la città nelle notti di quarantena.

Proprio Malik sorride alla mia domanda sul Natale: “Sorrido perché sento e vedo tantissima gente preoccupata per queste feste che devono essere fatte in famiglia. Magari avessi io la possibilità di stare con la mia famiglia non solo per Natale. Questo è il mio ottavo o nono Natale che trascorro in strada; forse, grazie al virus, quest’anno non avrò persone che mi disturberanno con i petardi. Ho perso il conto, perché io sono sempre solo, o in compagnia di qualche ubriacone. Noi siamo veramente soli e non abbiamo una casa per riscaldarci. Invece, voi quest’anno per via del Covid-19 state dando i numeri; provate a pensare come tanti di noi, come li chiami tu invisibili, vivono le feste di compleanno, il Natale e tante altre feste; per noi è sempre la stessa misera sera, soli sotto una coperta e un cartone nella speranza che non piova: questo è il mio Natale”.

Adama e Peter non sono tanto contenti di raccontare la loro situazione, si sentono sempre più abbandonati, visto che per via del Covid-19 anche i volontari sono sempre meno, e non hanno neanche la possibilità di vedere o parlare con altre persone. Anche per loro sarà un Natale di stenti e solitudine. Pure Peter, nonostante la presenza di altri invisibili nel casolare, si sente solo e non avrà  festeggiato perché lui e gli altri non hanno neanche i soldi per comprare qualcosa di particolare per la festa; se tutto andrà bene un po’ del solito riso sarà nel menù che lui stesso cucinerà.

Amadou non ha voglia di festeggiare perché è rimasto a Campobello in attesa che il suo “padrone” lo paghi per poter procedere verso la prossima tappa nel circuito dello sfruttamento. Inoltre, è preoccupato perché alcuni suoi amici sono andati via prima per prendere posto a Rosarno, e lui è rimasto per prendere i soldi anche dei suoi amici. Ma questi soldi non arrivano, arrivano solo le promesse di pagamenti che slittano settimana dopo settimana, e non ha nessuna voglia di festeggiare.

Per Osas non c’è Natale che tenga: “Sono io Babbo Natale per tantissimi uomini, bianchi e anche neri miei fratelli, sono io che regalo un momento di gioia. Ma voi non sapete che ogni volta mi lasciate delle ferite che non posso curare. Neanche con il Covid-19 vi fermate, e tanti sono venuti da me dopo la messa a prendersi il regalo. No, non ci sarà nessun Natale per noi schiave del sesso”.

Queste sono alcune storie di persone che stanno vivendo le feste come ogni  giorno, oppresse da un sistema e da una società che le ha schiacciate e rese schiave invisibili. Oltre loro, ci sono tanti altri “ultimi” delle nostre città che vivranno l’angoscia di non sapere cosa ne sarà di loro, come per esempio le tante persone richiuse negli alberghi quarantena che – ancora positivi – stanno soli dentro una stanza. Alcuni di loro non vedono la luce del sole da 40 giorni, in uno stato di limbo continuo. Sempre negli alberghi quarantena ci sono migranti che – anche se negativi al Covid-19 – restano prigionieri perché possono lasciare la struttura solo se hanno una residenza. Ma le persone appena arrivate in Italia restano giorni e giorni senza nessuna spiegazione, in attesa che la prefettura le assegni ad un CAS.

Non ci sarà nessuna festa per i tanti che ogni giorno fanno la fila davanti alle questure senza nessun distanziamento, con i poliziotti che guardano le persone ammassate per prendere un turno o avere una risposta alle tante richieste che non vengono evase per problemi dovuti al Covid-19. Sfinenti rinvii e percorso burocratico ad ostacoli rendono la vita impossibile a tantissimi migranti. Questure che dovrebbero essere luoghi sicuri ed in cui la legalità dovrebbe essere garantita, sono invece luoghi in cui una donna con un neonato deve stare sotto la pioggia in mezzo alla strada.

Abbiamo più volte denunciato  le modalità di attesa delle persone in fila all’Ufficio Immigrazione della questura di Palermo, che persevera in prassi che oltre a ledere la dignità delle persone, ne mette anche a rischio la salute. Un migrante ha scritto sui social, dopo l’ennesimo rinvio da parte della questura: “Non siamo animali del governo che ci mette in pericolo. Noi stiamo fuori a prenderci il virus, loro stanno dentro. La loro salute è più importante della nostra. La questura è grande, non fanno spazio per noi dentro, noi restiamo fuori. Poi, quando vedono due persone per strada dicono che non va bene camminare insieme a causa del Covid. Invece ci lasciano in cento fuori dalla questura a prendere il virus”.

Non ci sarà nessuna festa per tutte quelle persone arrivate da poco a Lampedusa e trasferite nei centri Covid o sulle navi quarantena. Nei centri Covid vengono inseriti in promiscuità minori non accompagnati, donne anche in gravidanza e persone con problemi psichici o fisici, per 14 giorni se tutto va bene. In caso di positività al tampone, il periodo di isolamento continua e il dopo è una lotteria, senza alcun premio ma solo con il rischio di finire per strada con un decreto di respingimento, perché organizzare trasferimenti e trovare posti durante le feste diventa ancora più difficile.

Il 2020 ci lascia in eredità anche diverse prassi illegittime delle istituzioni; alcuni enti gestori di centri di accoglienza ci raccontano anche di trasferimenti – disposti per errore – di persone che non avevano effettuato il tampone o addirittura che erano risultate positive, comportando la conseguente messa in quarantena di tutta la struttura.

Per quanto riguarda invece i trasferimenti di minori non accompagnati in centri per adulti, non si tratta di errori ma dell’attuazione di disposizioni autorizzate del tribunale per i minorenni di Palermo. Un operatore ci riferisce che: “C’è chi compie 18 anni fra un mese, chi fra due o tre mesi, li hanno trasferiti da noi anche se non potrebbero stare nella nostra struttura, ma non possiamo rifiutarci”. A quanto pare non sarebbe la prima volta che ciò avviene in questo periodo per mancanza di posti nei centri per minori stranieri non accompagnati, che dopo la quarantena devono essere ricollocati.

E proprio questa carenza di posti sta portando all’autorizzazione del raddoppio dei posti nelle strutture esistenti, alcune delle quali sono passate dall’originaria capienza di 15 posti ad una di 30 per l’emergenza.

Un sistema che come al solito trova nell’emergenza la giustificazione per non garantire i diritti previsti dalla legge. Ci riferiscono che molti minori al momento dell’arrivo dichiarano di avere dei familiari in Italia ma i ricongiungimenti non vengono fatti e si preferisce parcheggiarli per mesi, o anche anni, nei centri FAMI in Sicilia che sono strapieni.

Un sistema di accoglienza distrutto sul quale, con il decreto di modifica dei decreti sicurezza, si è persa l’occasione per fare un intervento realmente migliorativo e di strutturale cambiamento.

Covid-19 o no, lockdown o no, per tante persone le feste sono come tutti i giorni, senza la speranza di ricevere quel regalo che desiderano da tempo: la possibilità di vivere una vita degna.

 

Alberto Biondo

Borderline Sicilia