Viaggio nelle strutture di accoglienza siciliane: il CSPA di Pozzallo

Di fronte all’incremento degli sbarchi sulle coste siracusane e ragusane, e ai trasferimenti a Pozzallo di migranti che arrivano sulle
coste di Lampedusa, abbiamo avviato un osservatorio sulle strutture di trattenimento e accoglienza, per cercare di capire come funziona il sistema del
post Emergenza Nord Africa.

Questa settimana ci siamo recati al
CSPA di Pozzallo dentro l’area portuale, un hangar dove, a
detta di alcuni ospiti che abbiamo incontrato lungo la strada che costeggia il
porto, sarebbero al momento presenti circa 200-250 migranti di diversa nazionalità.

Da 2 giorni agli ospiti, che prima venivano trattenuti nella struttura, è data la possibilità di
allontanarsi. Un agente di Polizia in servizio al momento della nostra visita,
ci dice che è permessa loro l’uscita a gruppi di massimo 50 persone al giorno
senza obbligo di far ritorno in quanto richiedenti asilo “senza obbligo di
dimora”.

Un gruppo di giovani eritrei ci raccontano invece che è consentito di uscire solo a 40 persone al giorno e
che in realtà questo diversivo è possibile solo 1 volta alla settimana per
ciascuno di loro e per la durata massima di 5 ore. I ragazzi, sorridenti, ci dicono che quello è “un giorno di festa” per loro.

Altri ospiti la pensano diversamente, e denunciano di
sentirsi in prigione.

Chiediamo loro se al momento dell’uscita dal
centro dispongano di un tesserino o altro, ma ci rispondono che viene
effettuata la conta serale al termine delle ore di uscita concesse.

I migranti, incuranti del caldo e dei 2-3 chilometri di
lontananza che li separa dal centro della città, camminano spaesati. Al loro polso notiamo un
braccialetto che li identifica con un numero, quel numero che gli permetterà il
rientro all’interno della struttura.

La gestione del CSPA è affidata
ancora una volta, come ai tempi dell’Emergenza Nord Africa alla Protezione
Civile. Dentro le strutture del centro, sono presenti diversi velivoli della
Polizia e della Guardia di Finanza a presidio dell’ordine e della sicurezza
pubblica, ma dalle prime ore del mattino fino alle 15,00 quasi nessun ospite
si vede attorno al centro; solo un bambino fa capolino a volte, tra dentro e
fuori.

Presenti dunque sia uomini che
donne e bambini. Sette le docce per le donne, e sette per gli uomini. Ci dicono
che il cibo non è male, che non ci sono mediatori culturali né un servizio di
assistenza legale in pianta stabile.

Alcuni di loro ci riferiscono di esserenel centro di Pozzallo da più di 5 giornie, a detta loro, ci
resteranno per tutto il mese. A questo punto non tornano i conti: un agente di
Polizia appena un paio di ore prima ci aveva spiegato che in realtà tutti gli
ospiti restano 2 notti, al massimo 3, prima di essere trasferiti presso altre
strutture sul territorio italiano.

Qualcuno di loro più preoccupato ci spiega di essere molto pensieroso sul
proprio futuro. Ci racconta che diversi nel loro gruppo (tutti eritrei), sono passati prima attraverso il
Sudan per arrivare poi in Libia, dove sono stati trattenuti per circa 3 mesi
nelle carceri disumane di un paese che stando al loro racconto- e a quelli che
da anni ascoltiamo da numerosi altri migranti – non conosce il rispetto per i
diritti umani. Loro sono stati fortunati , sono riusciti a ripagarsi la libertà
a suon di denaro, possibilità che per
molte persone di altre nazionalità non
sussiste. Infatti una volta pagata la propria libertà hanno intrapreso
la traversata che li ha portati prima via mare fino a Lampedusa, e poi a
Pozzallo.
Molti di loro sanno che in Italia sono poche le possibilità di riuscire
a trovare un lavoro regolare, rifarsi una vita e dimenticare in fine le vite da
cui molti sono fuggiti, e sanno anche che una volta fermi in Italia dovranno
aspettare tempi molto lunghi prima di passare l’esame in commissione e ottenere
eventualmente lo status di rifugiato, e soprattutto sanno che il sogno di
potersi spostare in un paese europeo che possa garantire loro un lavoro
dignitoso e uno stile di vita consono alle loro aspettative, si infrange nel
momento stesso in cui le loro impronte digitali vengono prese e registrate.

Redazione Borderline Sicilia Onlus