La speranza è che cambi il vento

Ci facciamo una domanda e la facciamo anche a voi: se, qualche giorno fa, fosse stato un marocchino a sparare ad un italiano, secondo voi, da quante ore di programmi, di speciali, di interviste, di commentatori razzisti, di titoloni di giornale saremmo stati inondati?

Invece la stampa ha fatto da cassa di risonanza delle tesi difensive degli alleati di partito dell’assessore che gira armato per Voghera e che ha ammazzato un uomo (per il quale è subito cominciato il processo per il reato di esistere), e del silenzio imbarazzante degli altri esponenti politici. Intanto, come una marea nera, il razzismo continua a montare: vigliacchi leoni da tastiera, capaci di sputare odio in ogni occasione e alimentare violenza, dettano la linea del dibattito politico in questo Paese.

Una classe politica scadente e particolarmente violenta che continua, nel gioco delle parti, a spartirsi potere e poltrone, a discapito di un popolo sempre più rassegnato a subire ogni tipo di decisione, capace di scendere in piazza solo per il calcio, droga del nostro tempo.

È chiaro che, in questo silenzio voluto, non si parli del centro di Lampedusa che al momento ospita più di 1400 persone (1150 in più circa della capienza) per gli arrivi di questi ultimi giorni. Con il mare calmo Lampedusa ha visto l’arrivo di più di mille persone – per fortuna sane e salve – ma che sono stipate in un centro inadeguato, dove la promiscuità denunciata tante volte è una prassi, dove i bambini non hanno una particolare attenzione, dove i positivi sono collocati in un’unica stanza sporca, dove oltre al Covid si rischiano altre malattie, dove dormire è un privilegio, dove avere informazioni certe è un’utopia.

Nell’hotspot di Lampedusa, dalle notizie che ci arrivano da alcune persone rinchiuse dentro, ci sono situazioni di particolare gravità, come per esempio quella di persone che ci hanno riferito di non sapere perché da più di un mese sono sull’isola, in uno stato detentivo. Un non luogo che è sparito dai radar dei giornalisti, dei reporter, che il ministero dell’Interno nasconde per poter fare quello che reputa più utile e opportuno, e questo in uno stato di diritto è semplicemente inaccettabile.

Lo stress delle persone che passano da Lampedusa è notevole, il non ricevere risposte o informazioni, dopo aver rischiato la morte ed essere rinchiusi nei lager libici è semplicemente abominevole.

Come è abominevole la situazione nei CPR, in particolare in quello di Pian del Lago a Caltanissetta, in cui si protesta in continuazione nel silenzio assoluto di tutti gli interessati (media e politica), continuando a mantenere nella totale ignoranza del proprio futuro ed in condizioni igienico sanitarie veramente precarie tantissimi tunisini. Una delle tante richieste di aiuto che arrivano dai familiari di tunisini è quella che riguarda persone che volevano chiedere protezione e che invece vengono trasferiti dalle navi quarantena ai CPR, se non direttamente in aeroporto.

Così come è disumano il trattamento che ricevono le persone in un’altra isola meno famosa di Lampedusa ma che in questo periodo è sempre più una tratta utilizzata dalle piccole imbarcazione di tunisini, ossia Pantelleria, della quale non si parla in assoluto. La gestione degli arrivi a Pantelleria è totalmente fuori da una cornice normativa: non esiste un centro ufficiale con uno status giuridico e le persone vengono trattenute dentro un struttura del ministero della Difesa che utilizza uno spazio con una capienza per una ventina di persone, e che invece ne ospita, in periodi caldi come questo, anche più di cento, per pochi giorni o settimane prima del trasferimento presso la struttura di Trapani Milo.

Le persone sono in promiscuità, senza alcun servizio, con la gestione lasciata in mano ai militari. In questo altro non luogo – che è fuori anche dalle liste ufficiali – è praticamente impossibile avere notizie di minori non accompagnati di 14 e 16 anni cercati dai familiari, che riferiscono che dovrebbero essere arrivati la settimana scorsa sull’isola. Un silenzio che uccide il diritto e le madri che aspettano notizie.

Ad occupare spazio sui media sono invece le notizie degli incendi nei centri, che scatenano l’odio viscerale dei commentatori sul web. A Pozzallo, come per altri centri non è la prima volta, ma la gestione non cambia, la mancanza di chiarezza e la violazione dei diritti fanno sì che le persone si ribellino e, ad una violenza istituzionale, rispondano con la stessa moneta.

Anche su Villa Sikania, uno dei centri Covid della provincia di Agrigento, vige il silenzio mediatico ma, ogni tanto, qualche trafiletto racconta le fughe di massa.

Anche in questo caso la vita all’interno del centro – per tantissime persone in uno stato di promiscuità totale – non è semplice, specialmente quando le regole non vengono rispettate. L’ultima fuga ha visto il gruppo scappare perché, dopo tre cicli di quarantena (più di un mese), le persone, fra cui tantissimi minori non accompagnati, esasperate, si sono dispersi prima in Sicilia e poi nel resto d’Italia. A Villa Sikania il ciclo della quarantena non è sempre della stessa durata, perché quasi sempre i tamponi non si riescono a fare nei giorni previsti dai protocolli e quindi i cicli di quarantena inevitabilmente si allungano. Le dinamiche sono sempre più tese e difficili con un centro costantemente pieno, dove le liti fra i minori presenti sono all’ordine del giorno, specialmente tra tunisini e subsahariani.

Tutte queste situazioni accrescono la tensione e spingono a far pensare ai minori che siano gli operatori della struttura a falsare i risultati dei tamponi così da avere il centro pieno e guadagnare sempre di più, come alcuni di loro ci hanno riferito. Una situazione esplosiva che la politica non gestisce, aspettando che scoppi tra le mani. Poi, le vittime saranno solo un problema collaterale, che l’odio cancellerà con qualche dichiarazione fascista di politici e militanti razzisti.

Il vento dell’odio e del fascismo soffia forte. Fa male, è violento e miete vittime, ogni giorno, e fa sì che tantissime madri non possano neanche piangere i propri figli e le proprie figlie. È il caso dell’omicidio avvenuto nella notte tra il 29 e il 30 giugno vicino Lampedusa, in cui morirono 7 donne, fra cui una donna incinta e una ragazzina di 15 anni. 10 dispersi sono ancora in fondo al mare, a circa 90 metri di profondità. Restano lì perché è economicamente dispendioso recuperare i corpi, e 10 mamme, 10 padri, 10 mariti, 10 sorelle non potranno piangere i propri cari, dare loro degna sepoltura, perché questo ha deciso la politica: non c’è nessun profitto ad essere umani.

E nel silenzio assoluto continuiamo a contare i morti in mare: 57, le ultime vittime in un naufragio al largo della Libia.

Una nostra volontaria ha scritto sui social: “Un anno fa, il 25.7.2020, Hamdi Besbes è scomparso nelle acque di Lampedusa. Ad oggi ancora non si hanno sue tracce, per colpa di istituzioni assassine che hanno ucciso e poi nascosto la verità, ignorando il grido disperato della famiglia. Proprio oggi, a un anno dalla scomparsa di Hamdi, un amico che lotta alla frontiera di Lampedusa mi dice che lì c’è vento e maltempo e spera che chi attraversa la frontiera non sia travolto dal mare. Speriamo. E insieme continuiamo a batterci contro questo vento politico che uccide e travolge via nell’indifferenza. Noi abbiamo la nostra memoria che opporremo a questo sterminio. In questo mare di violenza e di oblio, si fa la resistenza: Hamdi non ti dimentichiamo, non lo faremo mai.”

La speranza è che cambi il vento, e noi continueremo a soffiare perché questo accada.

 

Alberto Biondo

Borderline Sicilia