Accordi con i Paesi terzi, voli charter e detenzione: la libertà muore nel Mediterraneo

L’approccio razzista contro le persone che migrano diventa sempre più violento: tra isolamento, voli diretti ai Cpr, rimpatri lampo e respingimenti, la Sicilia è il principale snodo geopolitico del governo securitario.

Le isole confine di Lampedusa e Pantelleria

Al centro del Mediterraneo, Lampedusa e Pantelleria hanno assunto progressivamente il ruolo di zone cuscinetto che fungono da luoghi di contenimento, prima identificazione e isolamento delle persone appena approdate in Sicilia, all’interno di un approccio di contenimento e selezione funzionale al controllo della mobilità. 

Nelle strutture di prima accoglienza e identificazione di Lampedusa e Pantelleria si implementano procedure di segregazione molto simili: trattenimento – giustificato dalle ragioni di identificazione – sequestro dei telefoni cellulari e degli oggetti personali, sorveglianza costante, fino alle misure di vigilanza che non permettono la libera uscita dalla struttura.

I centri sono infatti ormai definitivamente chiusi e separati dal tessuto sociale: a Lampedusa, la militarizzazione è aumentata progressivamente fino a erigere delle mura a delimitazione del perimetro che di fatto impediscono qualunque uscita; a Pantelleria, viene ormai imposta sistematicamente l’interdizione di uscire dal centro con vigilanza fissa al cancello. L’impossibilità di comunicare con il mondo esterno, tramite chiamate o internet, isola ulteriormente le persone e le impossibilita a mettersi in contatto sia con familiari che con avvocati e associazioni. Le tempistiche delle procedure di identificazione prevedono che le persone possano rimanere chiuse nel centro per molto tempo, soprattutto d’estate, quando il sovraffollamento crea situazioni di promiscuità e abbandono.

Se a Lampedusa un approccio hotspot più normalizzato regola da anni le procedure di selezione dei migranti, a Pantelleria una maggiore informalità ha dettato per lungo tempo la prima accoglienza delle persone. Ma a partire dall’estate scorsa anche sul suolo pantesco il ruolo di isola-confine si sta progressivamente formalizzando attraverso l’implementazione di un approccio di smistamento dei migranti più strutturato: il centro si è allargato con un nuovo edificio adiacente al polo di primo soccorso ubicato presso l’ex Caserma Barone e prevede 7 moduli abitativi, forniti dall’agenzia europea EASO, per una capienza totale di 40 posti.

Sebbene non sia chiaro se a Pantelleria verrà ulteriormente intensificata e valorizzata la presenza di Easo e di Frontex – che già possiede due container dove svolge le interviste e 6 operatori attivi sul campo – appare evidente come anche sul lato trapanese della frontiera siciliana le procedure di gestione degli arrivi sembrano rimandare ad un approccio con maggiore capacità di prima selezione e smistamento tra “migrante economico” e richiedente asilo.

Un nuovo “punto crisi” che è nato proprio in corrispondenza dell’intensificazione degli arrivi dalla Tunisia sul suolo pantesco e che di conseguenza ha attivato prassi più frequenti di criminalizzazione soprattutto per i cittadini tunisini che continuano a rappresentare la nazionalità maggiormente sottoposta a rimpatrio a causa degli accordi tra il governo italiano e tunisino. 

 

Dalla nave quarantena ai voli charter diretti ai Cpr

Molte delle persone che vengono allontanate dal territorio nazionale tramite il rimpatrio, vengono deportate nei Cpr da dove vengono riportate nei paesi di origine. 

Fino a maggio scorso, il passaggio intermedio dal centro hotspot al Cpr era rappresentato dalla permanenza in nave quarantena, imbarcazione da crociera della GNV che isolava in cabine per un tempo variabile persone appena approdate dal mare. Ufficialmente considerata uno strumento per la sorveglianza sanitaria delle persone approdate in Italia e per la limitazione della diffusione da Covid 19, la nave quarantena ha costituito un vero e proprio dispositivo di frontiera dove misure di incanalamento giuridico e di selezione arbitraria hanno facilitato per ben due anni le procedure di espulsione delle persone migranti. Infatti la nave quarantena utilizzava la retorica della tutela della salute per praticare nei fatti politiche di controllo e gestione della mobilità, a discapito del benessere psico-fisico delle persone trattenute. Fino a quel momento l’accesso diretto dei cittadini nei Cpr avveniva allo sbarco dalla nave quarantena, con trasferimento in bus o in aereo verso diverse città italiane in cui sono presenti le strutture detentive.

Con la dismissione delle navi quarantena a partire dal 1 giugno 2022, si nota che le assegnazioni del governo riguardano servizi aerei charter che direttamente da Lampedusa trasferiscono le persone nei Cpr italiani. La filiera della detenzione viene così potenziata e velocizzata. Il volo diretto da Lampedusa al Cpr collega in maniera automatica i due snodi di controllo della mobilità, concludendosi con i voli di rimpatrio verso la Tunisia.

Nel mese di agosto si sono raggiunti livelli record come riporta l’indagine di Altraeconomia: dieci voli per oltre 200 persone trasferite direttamente da Lampedusa nei Cpr per un costo totale di 1,5 milioni di euro, se si considerano anche i voli settimanali per il rimpatrio dei cittadini tunisini dagli aeroporti italiani a quello di Tabarka. Costi altissimi anche in termini di tutela dei diritti. A pagarne maggiormente le spese sono i cittadini tunisini – che hanno costituito il 64% del totale degli ingressi nei Cpr – che vanno incontro a tempi dimezzati per l’esame della domanda d’asilo e soprattutto ad una sorta di automatismo nella valutazione delle singole storie delle persone.

 

Lo spazio e il tempo della reclusione: isolamento e privazione della libertà

La sorveglianza sanitaria da Covid 19 – che ha costretto le persone migranti a vivere segregate in mezzo al mare per settimane – ha sdoganato e progressivamente legittimato forme di privazione della libertà e di violazione dei diritti fondamentali. La funzione contenitiva non si manifesta solo nella materiale impossibilità di poter uscire dai dispositivi, ma anche dalla collocazione geografica e dalla natura degli stessi. Le strutture sono infatti dislocate ai confini esterni : dalle isole di Pantelleria e Lampedusa, alle navi quarantena che gravitavano nel Mediterraneo, alle cabine aeree fino ai centri di detenzione, la morfologia dello spazio viene utilizzata in modo funzionale a garantire il contenimento e a svolgere rimpatri “lampo” che ostacolano un intervento esterno. Infatti si tratta di tutti luoghi inaccessibili a terzi dove inevitabilmente il diritto viene sospeso e dove ogni forma di monitoraggio della situazione, di tutela e di protezione socio-legale risulta impossibilitata.

 

Gli accordi con i Paesi terzi, le ONG e i naufragi 

L’utilizzo delle navi quarantena prima e dei voli charter per il Cpr dopo, si pone in continuità con le funzioni del dispositivo hotspot e con il governo europeo delle migrazioni. Una governance politica che trova la sua ragione nell’esternalizzazione delle frontiere e negli accordi con i Paesi terzi. Il Memorandum Italia – Libia che verrà automaticamente rinnovato in questi giorni per altri 3 anni se le autorità italiane non lo annulleranno, finanzia dal 2017 trattamenti crudeli, inumani e degradanti, violenze sessuali, lavori forzati e uccisioni delle persone migranti, nonché respingimenti in mare e detenzioni arbitrarie nei lager libici.

Da citare anche l’intesa tra Italia e Tunisia stretta nel 2020 che ha pattuito non solo procedure veloci e semi-automatiche di rimpatrio dei cittadini tunisini ma anche la sorveglianza dei confini e il blocco delle partenze nel Mediterraneo in cambio di ingenti finanziamenti al governo tunisino. 

A causa di queste politiche, nel mese di ottobre a Lampedusa sono giunti numerosi corpi senza vita, vittime di naufragi, appartenenti a persone migranti probabilmente di origine subsahariana partite dalle città tunisina di Sfax: 12 salme in totale, di cui almeno due donne e 4 bambini. Altre 3 salme, probabilmente di cittadini tunisini, sono giunte a Marsala a seguito di un naufragio, l’11 ottobre scorso. Molti di questi corpi non sono ancora stati riconosciuti e sono ancora abbandonati nelle camere mortuarie locali, altri sono stati già seppelliti nella provincia di Agrigento. Ciò accade proprio nel mese noto per il 3 ottobre, data nazionalmente riconosciuta come “Giornata della memoria per le vittime delle migrazioni” che sempre di più sembra essere una celebrazione ipocrita del governo italiano che commemora le vittime collaterali delle sue stesse politiche. Proprio in queste ore – al largo della Sicilia, tre imbarcazioni, la Humanity1 con a bordo 179 persone, la OceanViking con 234 naufraghi e la Geo Barents con 572  soccorsi – sono bloccate in mare in attesa di un’autorizzazione da parte delle autorità italiane per entrare in un porto di approdo. Intanto le condizioni di salute delle persone trattenute in mare – circa un migliaio – diventano critiche ogni giorno che passa e la loro esistenza, ancora una volta, dipende dai bracci di ferro tra Stati. Infatti pochi giorni fa, il neo ministro dell’interno Matteo Piantedosi ha notificato una direttiva ai vertici della Polizia e della Capitaneria di porto per informarli dello stop per le navi di soccorso, inaugurando la linea repressiva che il governo intende portare avanti nei confronti delle persone migranti, in continuità con l’approccio dell’ex ministro degli interni Salvini: con una comunicazione che la Farnesina aveva inviato alla Norvegia e alla Germania, Stati di bandiera della Humanity e della Ocean Vicking, era stato infatti dichiarato che le condotte delle due imbarcazioni in navigazione nel Mediterraneo con lo scopo di svolgere attività di search and rescue non erano «in linea con lo spirito delle norme europee e italiane in materia di sicurezza e controllo delle frontiere e di contrasto all’immigrazione illegale”.

 

La Sicilia nel centro della guerra in mare

Rinnovare gli accordi con la Libia – internazionalmente condannati per le violenze gravissime – e continuare a riconoscere la Tunisia un Paese “sicuro” – in un contesto dove il governo autoritario di Kais Saied perseguita oppositori politici e criminalizza la libertà di espressione – sono prassi che esprimono bene come il governo italiano sia disposto a pagare un prezzo altissimo pur di fermare le persone migranti, che vanno bloccate a qualunque costo umano ed economico.

Proprio sulla Tunisia bisogna puntare gli occhi con grande attenzione: dall’inizio dell’anno, secondo il Ministero della Difesa tunisino, 22.500 persone di varia origine, sono state intercettate e bloccate lungo la costa tunisina dalle imbarcazioni militari nazionali nel tentativo di partire verso l’Italia. A tal proposito, all’interno del Programma di gestione delle frontiere per la regione del Maghreb (Bmp Maghreb), è stata promossa un’iniziativa del valore di milioni di euro  in collaborazione tra il Centro internazionale per lo sviluppo delle politiche migratorie (Icmpd) e il ministero dell’Interno italiano per “rafforzare” le capacità tecniche della Guardia costiera tunisina nel lavoro di intercettazione e blocco della migrazione irregolare, con l’ausilio di strumentazione militare. Si tratta di un’azione che mira a migliorare la capacità di “proteggere, monitorare e controllare le frontiere” garantendo però “la libera circolazione dei viaggiatori in buona fede e delle merci”. Una militarizzazione della frontiera ulteriormente supportata a livello logistico ed economico dagli 11 milioni che il governo italiano ha offerto nel 2020 alla Tunisia – in materia di contrasto all’ immigrazione irregolare – in cambio del potenziamento del controllo delle frontiere attraverso la rimessa in efficienza di imbarcazioni della Guardia costiera e della fornitura di mezzi, in un quadro di cooperazione con il ministero dell’Interno tunisino allo scopo di fermare gli arrivi e creare in mare un muro sempre più invalicabile, come documenta l’inchiesta di Irpimedia che ripercorre l’intricato percorso di finanziamenti italiani alla Tunisia. 

La linea politica dell’Italia per i prossimi mesi è stata già annunciata: lo stop alle partenze nel Mediterraneo e i rimpatri lampo sono i presupposti che consolidano l’approccio di esternalizzazione della frontiera assunto in una prospettiva di controllo sempre più euro-mediterranea. 

Il principale snodo geopolitico di queste politiche resta la Sicilia, terra di mezzo, che continua ad essere punto di arrivo, identificazione, isolamento e detenzione dove le autorità nella teoria e nella prassi normalizzano e approvano sempre di più la distinzione tra “viaggiatori in buona fede” e migranti criminalizzati, quindi destinati ad essere respinti, umiliati e lasciati morire. 

Al centro della rotta migratoria più letale al mondo, di fronte a due Paesi da cui partono migliaia di persone, il canale di Sicilia fungerà ancora una volta da scenario militarizzato dove si concretizzano le direttive belliche dei governi: nel Nostro Mare andrà in scena l’ennesima barbara guerra a direzione razzista che – a suon di respingimenti e chiusura dei porti – colpirà coloro che continueranno ad attraversare le frontiere a costo della vita.

 

Silvia Di Meo

Borderline Sicilia