IN RIVA AL MARE

Martedì 16 giugno abbiamo fatto visita al CAS gestito da Jus Vitae a Santa Flavia, in provincia di Palermo.Abbiamo subito notato che il posto è gradevole, specialmente per il periodo estivo, almeno secondo i nostri parametri, perché per chi ha affrontato la morte in mare non sappiamo quanto sia bello alloggiare in riva al mare!


Al di la di questa prima considerazione, possiamo riferire la buona predisposizione di Marco, il responsabile che ha preso in mano la gestione da settembre, dopo il periodo iniziale, di circa 6 mesi, in cui è stata nelle mani di Sol.Co., affidatario diretto da parte della prefettura.La struttura è un bene confiscato alla mafia che Jus Vitae ha avuto in concessione, come tanti altri beni, e che l’associazione di padre Garau ha pensato di destinare all’accoglienza dei migranti.Inizialmente sono stati ospitati fino a 55 migranti, in una situazione di sovraffollamento, adesso superata perché la prefettura e l’Asp hanno ridotto il numero delle presenze massime nel Cas con notevole miglioramento delle dinamiche interne.I piccoli numeri di oggi, 20 migranti provenienti da Benin, Mali, Guinea, Gambia, Nigeria e Bangladesh, e l’apertura relazionale di Marco e degli operatori presenti, fa sì che il limbo degli ospiti sia meno amaro.Il sistema di accoglienza italiano non agevola il compito di chi vorrebbe lavorare verso una coesione sociale; così Marco spesso è costretto a fare i salti mortali per cercare di mettere delle toppe. Fra i problemi ricorrenti ritroviamo i tempi burocratici senza fine: i i primi arrivi delle attuali 20 presenze risalgono a maggio 2014 e ad oggi soltanto 10 hanno ottenuto una risposta dalla Commissione territoriale (5 umanitari e 5 denieghi, per i quali hanno già presentato ricorso). Per altri 3 ragazzi ancora si aspetta l’esito (e purtroppo anche per quello passano mesi e mesi), mentre per i migranti arrivati ad agosto 2014 ancora si è in attesa di conoscere la data di audizione in commissione.Alcuni ragazzi trasferiti presso il Cas sono neo maggiorenni e ci riferisce il responsabile che spesso devono ricominciare daccapo la procedura come richiedenti asilo, visto che nelle strutture ponte per minori, pur avendo formalizzato la domanda di asilo, non si riesce a portare a termine l’iter. Così i ragazzi trasferiti in altre strutture sono costretti a ripercorrere i tempi infiniti di attesa con una media di 18 mesi, come nel caso dei neo maggiorenni presenti a Santa Flavia.La struttura che ospita il Cas è ben curata e il rapporto tra operatori e ospiti sembra cordiale: c’è una relazione diretta senza barriere, agevolato certamente anche dai piccoli numeri. Per quanto riguarda il cibo, l’ente gestore ha una convenzione con la ditta di ristorazione Cubana di Palermo, che fornisce sia a pranzo che a cena un primo, un secondo con contorno, pane e frutta.Gli ospiti inoltre possono usufruire di un computer da utilizzare a turno che condividono con gli operatori, e di una stanza adibita alla preghiera. Tutti servizi che l’ente gestore ha potuto ricavare grazie al contenimento del numero di presenze all’interno della struttura.Il Cas, aperto nel marzo del 2014, non è stato ben visto dalle persone del luogo che hanno alzato delle barriere di pregiudizio, che in parte permangono anche oggi, ma che sono state “superate” da quegli autoctoni che hanno fiutato la possibilità di sfruttare la manodopera dei migranti a basso costo!Nonostante la chiusura ai migranti della popolazione locale, così come in una delle palestre presenti nel piccolo comune, i ragazzi ospiti del Cas non si sono scoraggiati, non si sono arresi alla discriminazione, anzi hanno costruito una palestra rudimentale per tenersi in forma.

Un punto dolente nell’organizzazione dei servizi offerti all’interno del Cas, come spesso abbiamo riscontrato, è la mancanza di una scuola di italiano, nonostante sia il primo strumento utile all’inclusione sociale. Ma, come per la maggior parte dei CAS, le difficoltà ad attivare corsi o a coinvolgere le scuole locali rappresentano un ostacolo insormontabile, con il risultato che la comunicazione diventa un tabù, il che non permette di interagire con il resto della popolazione e facilita i furbi allo sfruttamento dei ragazzi. Il servizio di mediazione linguistica pur essendo presente non appare sufficiente, in quanto l’operatrice è presente soltanto tre volte alla settimana.In queste ore ricorre la giornata mondiale del rifugiato e in tutte le città si promuovono delle iniziative per raccontare quanto siamo bravi ad accogliere i rifugiati e come siamo bravi ad inserirli nella società. Anche a Palermo si è tenuto un incontro organizzato dal Comune per raccontare l’esperienza degli Sprar in città. Ebbene, molti hanno raccontato belle storie, ma quasi nessuno ha parlato dei problemi di questo circuito di accoglienza nel palermitano, territorio che si trova per la prima volta ad ospitare strutture di seconda accoglienza, in cui purtroppo sussistono falle che nessuno vuole riparare, tanto meno evidenziare, men che mai il comune, ente capofila dei progetti. Nella giornata del rifugiato, alcun rifugiato è stato protagonista dell’iniziativa, soltanto i racconti dei responsabili delle strutture. Il comune ha deciso la linea (come per tante altre cose) dell’apparenza, mostrando al Servizio centrale, nella persona della dott.ssa Iuzzolino, quanto siamo bravi, senza dar voce a chi forse avrebbe qualcosa da dire. Il convegno è stato intitolato “Io sono in Italia”, e sono intervenuti solo italiani: perché abbiamo tanta paura di ascoltare e riflettere con i richiedenti asilo? Se anche attraverso gli Sprar non si è in grado di rendere protagonisti del loro percorso di vita i migranti, che senso ha parlare di integrazione e di un “modello sprar”?Hanno qualcosa da dire anche nel trapanese, dove al Cas di contrada Fraginesi i problemi si ripetono ciclicamente: i ragazzi hanno protestato vivacemente non solo per i ritardi burocratici che non dipendono dall’ente gestore, ma per il cibo insufficiente e ripetitivo, l’acqua che non esce dai rubinetti, la mancanza di luci nei vialetti esterni e del medico. Non è la prima volta che ci sono delle proteste in questo Cas (un ex resort) dimenticato in una contrada di Castellammare del Golfo, lontano da tutto e da tutti. Dopo la protesta, il problema dell’acqua è stato risolto, è tornata anche l’acqua calda. Le luci esterne non sono ancora attive, per via di un corto circuito in fase di riparazione. Il medico, che si recava al centro una volta a settimana, non vuole più andare e per i ragazzi è impossibile raggiungerlo perché la zona non è fornita di mezzi pubblici. Così gli operatori si sono organizzati con 2 auto proprie per portare i ragazzi a vare i controlli, in un giorno alla settimana. Per quanto riguarda il pocket money non viene erogato regolarmente, ci sono spesso dei ritardi e il periodo più lungo di attesa è stato di 20 giorni.Sempre nel trapanese, ancora a Castellammare del Golfo, c’è stata un’altra protesta inscenata dagli ospiti di Sicilia Uno, un altro Cas della zona, dove non è la prima volta che si svolgono manifestazioni di lamentele.Alberto BiondoBorderline Sicilia Onlus