Disintegrare le persone in nome della sicurezza

Ci sono tanti modi per far fuori una persona e il modo più subdolo usato dalla società in cui viviamo, è quella di escluderne molte in nome della sicurezza.
Mentre continuiamo a far girare il disco rotto dell’allarme invasione, consegniamo le persone ai loro aguzzini, siano essi milizie libiche o presidenti turchi. E sempre in nome della sicurezza lasciamo morire in mare, nel silenzio più assoluto, migliaia di persone in fuga.

I meccanismi di esclusione continuano anche all’interno dei confini nazionali: a Campobello, nella famosa tendopoli di Erbe Bianche, alcuni ragazzi hanno deciso di restare, e l’unica via per la sopravvivenza è quella di farsi sfruttare da qualche contadino che ogni mattina passa dal campo per offrire un lavoro.

Tre giorni fa siamo andati a trovarli e scendendo dalla macchina abbiamo subito sentito un freddo fin dentro le ossa, come se anche il freddo volesse mettere subito le cose in chiaro: qui si soffre parecchio! Per fortuna ci siamo riscaldati con gli abbracci e i sorrisi dei ragazzi che, come sempre e nonostante tutto, non fanno mancare mai un sorriso. Ma vedere A. farsi la doccia a cielo aperto, con un secchio d’acqua riscaldato da un suo amico, fa pensare a quanta umanità stiamo perdendo, o forse abbiamo già perso. La solidarietà è l’unica arma che può sostenere una persona in condizioni disumane come quelle di Erbe Bianche. Per fortuna tra di loro c’è questo mutuo aiuto: chi non lavora pensa a cucinare o a riscaldare l’acqua per lavarsi e aspetta chi lavora per stare insieme attorno ad un fuoco.

Ma proprio il fuoco è un pericolo costante, sia per i fumi respirati – spesso dentro le tende- sia per il rischio di incendi. E la soluzione trovata dalle istituzioni, nonostante il tavolo aperto con le associazioni, è un ordinanza sindacale con la quale si intima di lasciare il campo entro 20 giorni dal 12 febbraio. Ovviamente non viene offerta alcuna soluzione alternativa, e l’unica conseguenza è che aumenterà ancor di più l’invisibilità di queste persone.

Si pensa solo ed esclusivamente a tutelare i benestanti proprietari di terre che hanno bisogno di questi ragazzi, ormai specializzati nella potatura degli alberi e nella lavorazione della terra, ma ai quali nessuno garantisce il contratto di lavoro e l’alloggio. Nessun sindacato denuncia queste situazioni e nessuna istituzione controlla chi sfrutta. Lo sgombero sarà eseguito con la felicità di coloro i quali lavoreranno al recupero dell’area con i soldi che arriveranno da Roma. E forse si tratterà dell’ennesimo spreco di denaro, come i cinquantamila euro che sono stati usati per sistemare un’area inutilizzata dell’ex oleificio di Fontanedoro.

Al nostro arrivo, oltre all’ordinanza abbiamo trovato le tende identificate: “vuota” vuol dire che si deve abbattere. Quelle abitate sono numerate per identificare le persone che vi vivono. Prassi che rievocano altri campi in cui si finiva bruciati, ma con la differenza che per il momento, ma solo per il momento, qui i ragazzi non hanno codici identificativi sulla pelle.

Qui adesso a bruciare, oltre la speranza, è la legna per combattere il freddo.

 

Alberto Biondo

Borderline Sicilia Onlus