Pare che si chiamasse Yassin

di Marta Bernardini e Francesco Piobbichi. Mediterranean Hope – Pare che si chiamasse Yassin. Pare che Yassin venisse dall’Eritrea, che fosse stato arrestato senza motivo e chiuso in uno dei tanti lager libici, pare che abbia un bimbo e una moglie in un centro di accoglienza in Svezia e che volesse raggiungerli. Quello che è certo, è che è arrivato senza vita a Lampedusa, dove è stato sepolto pochi giorni fa. Lui sarebbe potuto arrivare qui e avere protezione umanitaria, ne aveva tutti i requisiti, eppure è stato costretto a prendere la strada rischiosa del mare che lo ha portato alla morte. La stessa storia del piccolo Aylan, e di molti altri innocenti morti in questo mare reso assassino dalle leggi degli uomini. La vicenda senza foto di Yassin ve la raccontiamo noi. Lo facciamo come abbiamo fatto per Welela, per dare una dignità a queste persone e per evitare che si perdano nell’oblio. Lo facciamo per dire che un giorno la storia farà i conti con i nostri governanti e le loro scelte politiche.
In queste settimane di agosto abbiamo visto e sentito tragedie con una cadenza continua, 50 dispersi nell’ultima settimana, corpi ustionati, mamme che hanno perso figli, fratelli che hanno perso altri fratelli. Mentre scriviamo, leggiamo inoltre che a largo di Zwuara sono riemersi i corpi di 183 persone decedute nelle scorse settimane. E’ una strage silenziosa quella che va avanti. Ce ne vuole di coraggio per continuare a stare sul molo di Lampedusa e dire “Welcome in Italy” a tutti quelli che approdano.
Lillo lo vediamo con la sua tuta rossa prendere ogni volta uno o due bambini e portarli sull’autobus, lui e la sua famiglia sono l’esempio migliore di questa Italia accogliente, quella che non fa notizia perché non urla, non butta odio sulla pelle degli ultimi. Ci chiediamo, come può l’Italia restare silente davanti a una strage del genere? Nel mese di agosto sono morte nel Canale di Sicilia il doppio delle persone morte nel terremoto aquilano, dall’inizio dell’anno quasi 10 volte tanto. Nei prossimi mesi la tragedia continuerà, così, come se niente fosse, onda dopo onda.

In pochi hanno capito che per come partono queste persone dalla Libia, nonostante la bravura di chi salva in mare, l’eccezionalità è avere un salvataggio senza vittime, l’ordinarietà invece è quella della tragedia. Il che vuol dire che le tragedie di cui abbiamo notizia sono solo una parte di quelle che avvengono. Abbiamo dentro di noi lo sguardo della donna sotto shock, approdata alcuni giorni fa, che ci ha detto di aver perso due figli in mare. Ora è nel Centro di accoglienza di Lampedusa, chiusa dentro quel recinto, nel suo dolore, senza possibilità alcuna per noi di poterla incontrare, abbracciare e portargli conforto. Durante la stagione estiva i migranti non escono dal Centro e non entra la solidarietà comune dei lampedusani, dei solidali senza divisa che arrivano da ogni parte del mondo. Il Centro potrebbe diventare, come dicono, un Hotspot, un luogo cioè per l’identificazione e il foto segnalamento dei migranti. Un nuovo nome che muta ancora una volta il senso della frontiera, che separa pericolosamente il “noi” dal “loro”. Scelte che incideranno sul destino di Lampedusa per i prossimi decenni. Anni che non saranno diversi da questi ultimi, perché guerra e impoverimento continueranno a crescere come i flussi migratori che si sposteranno nel pericolo senza vie legali di fuga. Ci saranno insomma altre tragedie, ma di questo non ci pare ci sia una consapevolezza da parte di chi ci governa.

L’Europa oggi sembra però cambiare il proprio rapporto rispetto ai rifugiati ed è una cosa positiva sulla quale lavorare. Il vento che hanno mosso i siriani in marcia sulle rotte dell’est, si è beffato delle frontiere e del filo spinato. Vedere moltissimi cittadini esprimere una sincera solidarietà verso i profughi che stanno coraggiosamente attraversando le frontiere offre a tutti noi una ventata di speranza, speranza che non tutta l’Europa si faccia trascinare da politiche di odio e chiusura. Allo stesso tempo quello che vediamo dinnanzi a noi è anche un’Europa che ha deciso di scegliere, in maniera arbitraria, di separare le caselle tra migranti economici e rifugiati, e tra i rifugiati stessi dando la preferenza ai siriani e agli eritrei. Popolazioni che scappano indubbiamente da situazioni terribili ma il resto dei profughi, quello che avanza, è eccedenza che rischia di finire recintata nel filo spinato nel migliore dei casi, o in fondo al mare nel peggiore dei casi.