Scheda sul megaCara di Mineo

Nel nostro Paese le rivolte ed i conflitti del Nordafrica si sono trasformati nell’ennesima occasione per ridisegnare la mappa del confinamento dei migranti. Invece di proporre nuove pratiche di accoglienza, che andassero nella direzione di un vero diritto d’asilo europeo e di una nuova normativa sull’immigrazione, intorno all’emergenza finta è stata costruita anche un’accoglienza finta, mettendo all’angolo i circuiti del sistema SPRAR per dare corpo ad un sistema di distribuzione dei migranti che non prevede diritti e garanzie, abbandonando i cosiddetti “profughi” ad un destino senza prospettive.
Sin dalla nascita del villaggio della “solidarietà” a Mineo abbiamo denunciato la squallida operazione dell’ex ministro Maroni, la sperimentazione di nuove politiche segregazioniste anche per i richiedenti asilo in uno sperduto villaggio della Sicilia, lontano oltre 10 Km dal primo centro abitato, dilapidando decine milioni di euro (6 milioni di euro l’anno solo per spese di locazione alla spa Pizzarotti di Parma). Oggi denunciamo che il Cara di Mineo, luogo di profonde sofferenze ( 8 manifestazioni di protesta all’esterno e numerosi casi di tentato suicidio), ha rubato quasi due anni di vita a migliaia di migranti che avrebbero potuto usufruire subito, in caso di diniego della richiesta d’asilo, di un permesso di soggiorno per protezione umanitaria, soprattutto quelli che provenivano dalla guerra in Libia (l’85% delle operazioni belliche provenivano da Trapani Birgi e da Sigonella), così come è avvenuto negli anni scorsi per chi fuggiva dalla guerra in Afghanistan ed in Irak.Dal marzo 2011, si è militarizzata l’intera zona, affrontando come al solito la presenza dei migranti soprattutto come un problema di ordine pubblico e si è arricchito chi sfrutta il lavoro nero nelle campagne circostanti (addirittura il “salario” giornaliero è sceso sotto i 20 euro creando tensioni con gli altri migranti). Molti richiedenti asilo attendono da anni ancora il permesso di soggiorno, visti i numerosi e pretestuosi dinieghi con attese bibliche per i responsi ai conseguenti ricorsi. Il Cara di Mineo è una mega struttura segregazionista dove sono stati ospitati in media 1800/2000 richiedenti asilo (negli ultimi mesi sono arrivati ad essere a quasi 3000). Nella fase iniziale il villaggio degli aranci è stato riempito da richiedenti asilo in buona parte sradicati da altri Cara di tutto il territorio nazionale, liberi di uscire dal centro dalle otto di mattina alle otto di sera, sottoposti a regole tanto rigide quanto inutili. Il loro tempo trascorreva in modo ripetitivo, in fila per entrare e uscire, in fila per mangiare, in fila per telefonare, tre minuti al mese di telefonate e cinque minuti di connessione internet; se va bene, otto minuti al mese è il tempo loro concesso per restare in contatto col mondo. Nel centro ha regnato e regna la disorganizzazione: pochi mediatori culturali, pochi corsi d’italiano, scarsa assistenza sanitaria, niente giornali e televisione, nessuna attività ricreativa e culturale, nessun percorso d’inserimento nel territorio. La quantità e la qualità del cibo non sono gradite ai migranti, cucinare non è proibito (per alcuni raccomandati si chiude un occhio), soprattutto i più giovani si sentono privati della propria identità. L’angoscia più grande riguarda però il futuro: la lentezza della commissione (rispetto alla fine 2011si esaminano meno della metà delle richieste: da 80 a settimana a 30/35 attuali), lo scadente servizio d’interpreti, i numerosi dinieghi hanno portato a numerose manifestazioni di protesta, anche se molti sono rassegnati. La disperazione si fa strada in tanti, come si evince dal rapporto di Medici senza frontiere (Dall’inferno al limbo), presente per alcuni mesi nel 2011 nel centro per un progetto di salute mentale, che documenta sette tentati suicidi fra i migranti rinchiusi nel CARA. Una denuncia forte che punta i riflettori sul fallimento del centro modello dove le condizioni di vita sono tali da mettere a rischio la salute mentale delle persone, soprattutto le più vulnerabili, quali le vittime di violenza e di tortura, per le quali non è stato predisposto alcun servizio. Le conclusioni del rapporto non ci sorprendono. Abbiamo infatti nei mesi documentato tanti casi di inefficienza e di negazione di diritti inalienabili, la reclusione illegale di minori,abusi delle forze dell’ordine.Nei mesi, l’atteggiamento delle istituzioni locali si è modificato, passando dal rifiuto della presenza dei migranti all’accettazione del centro quale possibile risorsa economica del territorio. Una risorsa malata che ha messo in moto un’economia anch’essa malata, basata sul clientelismo e sullo spreco delle risorse pubbliche per progetti che nulla hanno a che fare con i bisogni e i diritti dei migranti. Siamo in direzione diametralmente opposta ad un progetto reale di accoglienza, rispettoso dei diritti delle persone migranti, capace di mettere in moto un’economia virtuosa, con ricadute positive sull’economia e sull’occupazione, come è avvenuto nei comuni della Locride (vedi Riace) e in molti altri comuni italiani con il cosiddetto sistema Sprar, grazie alle reti solidali di enti ed associazioni.Invece, visto il mega business, potenti consorzi di cooperative sociali si sono fatte sotto per spartirsi il resto degli appalti, rinunciando a criticare a monte la scellerata decisione di aprire un megaCara nel residence degli aranci. La Rete antirazzista, contrariamente a chi ha cessato l’ostilità contro questo dispendioso, clientelare e disumano esperimento, ha sempre ribadito che con meno della metà si sarebbe potuto fare reale accoglienza all’interno dei paesi limitrofi moltiplicando i progetti SPRAR. La nostra posizione è confortata dalle richieste dei migranti che, in diverse occasioni, nel corso delle tante iniziative di solidarietà messe in campo in questi due anni, hanno potuto liberamente esprimere le loro opinioni fuori dalle parate inscenate in occasioni istituzionali. Vogliamo ricordare per tutte la dichiarazione di F., portavoce della comunità nigeriana, che alla fine di una protesta, duramente repressa, ci ha pregato di far pervenire alla stampa la loro piattaforma rivendicativa. F. proviene dalla Libia, dove ha lavorato oltre 10 anni ed ha affrontato un lungo viaggio in cui sono morti alcuni suoi amici. “F. e i suoi connazionali hanno guardato all’Italia con speranza; il loro sogno, che adesso vedono infranto, era semplicemente un’accoglienza dignitosa in un continente, l’Europa, che negli anni ha sfruttato le risorse dei loro territori suscitando anche violenti conflitti. La loro rabbia è esplosa perché l’Europa appare ai loro occhi una fortezza inespugnabile. Denunciando le condizioni di vita nel campo,i maltrattamenti e gli insulti razzisti da parte delle forze dell’ordine e di alcuni operatori i manifestanti chiedono il riconoscimento dello status di rifugiato per tutti coloro che provengono dalla Libia, paese dove è in atto un conflitto che, come ogni guerra, produce profughi. Per il loro diritto alla vita continueranno a lottare”.Attualmente al Cara di Mineo con la fine dell’Emergenza Nordafrica i nodi stanno venendo al pettina di un’esperienza iniziata male e proseguita peggio. Dopo aver parcheggiato a tempo indeterminato migliaia di persone, abbandonate a se stesse, con scarsa conoscenza della nostra lingua, senza aver iniziato percorsi d’inserimento lavorativo, arrivano finalmente i permessi di soggiorno di un anno per protezione umanitaria ed il “bonus” di 500 euro; a centinaia stanno partendo alla disperata ricerca di un lavoro nell’inospitale Italia o nella fortezza Europa. Noi proseguiremo nell’assistenza legale ai richiedenti asilo, nel sostegno alle loro giuste rivendicazioni di diritti, fino alla definitiva chiusura del megaCara di Mineo. Rete Antirazzista Catanese