Un ragazzino del Ciad dietro le sbarre: è questa la giustizia?

È stato condannato a 6 anni, 8 mesi di reclusione e a 1.200.000 euro di multa Ahmed, un giovane migrante del Ciad che lo Stato italiano ha ritenuto responsabile del naufragio dell’11 novembre 2020.

È passato più di un anno, e dopo quel naufragio ci sono stati altri morti, altre tragedie e oggi può essere difficile ricordare quella vicenda e le parole spese al riguardo. Ma un anno fa, quel naufragio era sulle prime pagine dei giornali, perché in quel naufragio è morto anche un bambino di sei mesi, Youssef della Guinea. Il video delle grida disperate della madre sopravvissuta è stato pubblicato dalla ONG ‘Open Arms’, per sbattere in faccia a un’Europa sorda la voce di chi soffre sulla propria pelle l’abbandono catastrofico dei migranti che partono dalla Libia.

Nei giorni successivi, è stata rivolta una dura accusa alla politica italiana e europea, che non si interessa di assicurare l’ingresso legale dei migranti ed il soccorso alle persone costrette di attraversare il mare. Invece di finanziare le navi di soccorso, l’Europa le sequestra. Invece di salvare le persone, le abbandona alla morte. Invece di accoglierle, le respinge.

Se a novembre 2020 tutto questo era chiaro, lontano dai riflettori la Procura di Agrigento indagava un ragazzo di appena 21 anni proveniente dal Ciad, anziché fare luce sulle responsabilità istituzionali dell’ennesima tragedia del Mediterraneo. Perché, quando muore un bambino di sei mesi l’indignazione è alta e qualcuno deve finire sul banco degli imputati. E chi se non “lo scafista”, capro espiatorio su cui l’Europa e l’Italia continuano a scaricare le loro responsabilità?

Ahmed viene arrestato il 27 novembre 2020 a Trapani dopo lo sbarco dalla ‘nave quarantena’ sulla quale era stato trattenuto insieme agli altri sopravvissuti. Alle accuse di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare pluriaggravato e di morte come conseguenza di altro reato, questa volta si aggiunge un ulteriore capo di imputazione: il reato di naufragio colposo. Quest’ultima accusa assume una connotazione punitiva, tenuto conto che gli elementi costitutivi del reato di naufragio colposo sono già contestati con le aggravanti del reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Questo significa infatti punire Ahmed due volte per il fatto di aver guidato una barca con a bordo migranti, alcuni dei quali non sono sopravvissuti al naufragio.

Il 02 febbraio 2022 il Tribunale di Agrigento ha condannato Ahmed a 6 anni e 8 mesi di reclusione, arrivando persino a superare le richieste del Pubblico Ministero. Ahmed è stato ritenuto l’unico responsabile del viaggio insicuro, del naufragio e della morte di quelle persone, tra cui il piccolo Youssef.  Per un ragazzo di 21 anni sono tante responsabilità, troppe se si considera come vengono scelti i guidatori delle imbarcazioni che partono dalla Libia, spesso costretti alla guida dietro le minacce e le torture dei trafficanti.

Sono troppe responsabilità, se si considera che non è stato un ragazzo di 21 anni a rendere un pericoloso viaggio in mare l’unica via per raggiungere l’Europa; non è stato un ragazzo di 21 anni che ha rinunciato a salvare le persone nel Mediterraneo, delegando l’impresa a poche ONG, peraltro, spesso criminalizzate.

Ma tutto questo non è stato ritenuto importante.

L’Italia ha il suo colpevole.

 

Boat Drivers Support Group

Arci Porco Rosso e Borderline Sicilia

 

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