Mai più CPR. Il presidio antirazzista a Pian del Lago

Sabato 18 gennaio si è tenuto un presidio davanti al CPR di Pian del Lago, a Caltanissetta, promosso da diverse associazioni e realtà, sia siciliane che nazionali, tra cui Borderline Sicilia, Rete Antirazzista Catanese, Campagna LasciateCIEntrare, Sportello Immigrati di Caltanissetta, Forum antirazzista di Palermo, circoli Arci di Catania e di Palermo.

La mobilitazione è stata organizzata a seguito della morte di Aymed, un ragazzo tunisino di 34 anni, trattenuto nel centro di detenzione amministrativa da oltre 9 mesi e lì deceduto lo scorso 12 gennaio.

La sua è stata dichiarata una morte naturale, ma le cause del decesso non sono ancora chiare, così come non è chiaro se ad Aymed sia stata prestata un’adeguata e tempestiva assistenza medica. Sembra che il giovane si fosse sentito male già nei giorni precedenti.

Non è la prima volta. Non è il primo caso di “morte naturale” all’interno di un CPR. E, come già altre volte, la morte del ragazzo ha scatenato la rabbia e le proteste degli altri migranti reclusi nel centro, che attualmente sono più di 70. Domenica scorsa le proteste sono sfociate in un incendio delle strutture, come già era accaduto, sempre a Caltanissetta, nel 2017, e come accade spesso nei CPR di tutta Italia.

Anche questa volta pesa il silenzio delle istituzioni e quello della maggior parte dei media, che relegano le proteste nei CPR ad episodi sporadici.

I Centri di permanenza per i rimpatri sono presentati agli occhi dell’opinione pubblica al solo fine di criminalizzare i migranti irregolari e sbandierare i risultati (peraltro inesistenti) circa il rimpatrio di chi viene detenuto all’interno di tali strutture.

Di fatto si tratta di centri di reclusione dove si incrociano persone con storie e vulnerabilità assai diverse, detenute pur non avendo commesso alcun reato (o dopo aver già scontato delle pene), e per il solo fatto di essere sprovvisti di un regolare titolo di soggiorno per rimanere in Italia. Sempre più spesso, poi, a causa delle novità introdotte dal decreto sicurezza, nei centri per il rimpatrio si trovano sempre più richiedenti asilo che hanno ricevuto un diniego o sono privi di documenti a causa dell’eliminazione della protezione umanitaria.

L’unica cosa che accomuna tutte queste persone è l’essere rimasti senza un permesso di soggiorno a causa delle varie leggi che hanno reso impossibile l’ingresso regolare in Italia e sempre più complicata la permanenza regolare sul nostro territorio. Nessun reato, dunque, ma meno garanzie di quelle riservate a chi un reato lo ha commesso. Si parla di detenzione amministrativa per distinguerla da quella penale, ma la realtà è che in Italia chi si trova detenuto all’interno del sistema carcerario, regolato dalle norme sull’ordinamento penitenziario e sottoposto alla vigilanza dell’autorità giurisdizionale, ha più tutele di chi, per il solo fatto di essersi visto negare un permesso di soggiorno, si trova trattenuto in un CPR ai fini del rimpatrio.

Nel testo unico sull’immigrazione c’è un generico riferimento al fatto che lo straniero deve essere detenuto nel centro “con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza e il pieno rispetto della sua dignità”. Di fatto, le persone ristrette nei CPR non hanno la possibilità di proporre reclami per la tutela dei propri diritti fondamentali e non è garantito l’accesso alle strutture a ong e associazioni che possano monitorare in modo indipendente le condizioni dei centri e il trattamento delle persone che vi si trovano recluse.

Il Garante nazionale delle persone detenute o private della libertà personale è più volte intervenuto per sottolineare le violazioni dei diritti degli stranieri ristretti nei Centri per il rimpatrio, ma ad associazioni e attivisti, che lavorano da anni sui territori, viene continuamente negato l’accesso.

A Caltanissetta, dopo la morte del ragazzo avvenuta la settimana scorsa, è intervenuta un’ispezione parlamentare, all’esito della quale è stato denunciato come la struttura non sia “idonea a ospitare esseri umani”.

Come viene anche raccontato dai migranti trattenuti all’interno del centro, a Pian del Lago le condizioni igienico sanitarie sono pessime; viene riferito di stanze senza finestre, senza riscaldamento, di docce e bagni per lo più inagibili e della difficoltà a comunicare con l’esterno.

Il deputato Erasmo Palazzotto, che ha effettuato l’ispezione, auspica la chiusura del CPR di Caltanissetta, almeno fino a quando le condizioni non saranno idonee per “ospitare esseri umani”. Nei fatti la struttura di Pian del Lago (il cui ente gestore è una R.T.I. formata dall’Essequadro Società Cooperativa Sociale di Caltanissetta e dall’AdMajora s.r.l., quest’ultima già finita in pesanti inchieste giudiziarie per le pessime condizioni in cui versavano i suoi centri d’accoglienza) era destinata a essere chiusa a fine mese, per lavori di ristrutturazione già appaltati.

Come rete di associazioni che si occupano di questi temi da anni, riteniamo che le condizioni inumane e degradanti in cui vengono di fatto detenuti gli “ospiti” dei CPR siano solo il primo dei problemi, quello più immediato. La criticità però riguarda il sistema in sé che va del tutto superato.

È un sistema che segrega e priva della libertà le persone in virtù dell’irregolarità della presenza sul territorio, che è per lo più legata a circostanze esterne alla volontà dello straniero, ossia  agli effetti di una legislazione che tende a produrre irregolarità. I migranti possono essere trattenuti in queste strutture per mesi (il decreto sicurezza ha allungato da 90 a 180 giorni il termine massimo di reclusione), in condizioni spesso critiche e senza ricevere l’assistenza adeguata.

Nella maggior parte dei casi, una volta scaduti i termini massimi di trattenimento, a causa della mancanza di accordi di riammissione con i paesi di origine, gli stranieri tornano liberi, ma sono costretti a vivere in una condizione di irregolarità e di invisibilità. Solo propaganda quindi.

Le strutture di detenzione amministrativa sono l’emblema del fallimento delle politiche sull’immigrazione e del sistema delle espulsioni e dei rimpatri. Pensate (si dice) per proteggere i confini d’Europa e la sicurezza interna, sono di fatto luoghi di reclusione, inutili allo stesso fine per cui si afferma di istituirli e dove viene legittimata una sospensione dello stato di diritto per chi ha il passaporto sbagliato.

A Pian del Lago, mentre era in corso il presidio, giungevano voci dei ragazzi reclusi all’interno: “Aiutateci! Venite qua!”, dicevano. Non possiamo permetterci, in un paese che vuole definirsi civile, di costruire e finanziare strutture da cui si levano tali voci di protesta e richieste di aiuto. È un costo umano e sociale che non possiamo più permetterci di giustificare in nome di una presunta (ed inesistente) emergenza sicurezza.

I governi che si sono succeduti negli anni hanno perseverato nel costruire il sistema dei CPR (ex CPT, ex CIE) e tanto Minniti quanto Salvini hanno disposto l’ampliamento della rete dei centri per i rimpatri che sin dall’inizio hanno costituito una grossa occasione di speculazione per le cooperative che li hanno gestiti.

Le proteste che si susseguono nei CPR di tutto il paese ci ricordano quanto sia attuale il problema della detenzione amministrativa in Italia e il presidio di sabato scorso è stato solo una tappa di un percorso intrapreso da anni, che vedrà nascere nuove iniziative di sostegno al blocco dell’apertura (o riapertura) di nuovi centri e alla chiusura di tutti i CPR attualmente in funzione.