CAS “Liberi Tutti” di Partinico. Dopo mesi di lassismo e violazioni di diritti, finalmente la chiusura

Il CAS “Liberi Tutti” di Partinico, in provincia di Palermo, gestito dalla cooperativa “Liberi Tutti”, è stato chiuso a inizio marzo a seguito di vari controlli da parte delle autorità.

La chiusura del centro non ci sorprende, in quanto abbiamo incontrato tre – ora ex – ospiti del CAS, ed ascoltato le loro testimonianze che descrivono condizioni sotto gli standard minimi stabiliti per l’accoglienza dei richiedenti asilo e del rispetto dei diritti, oltre che della dignità umana.

Le tre persone incontrate, che chiameremo con i nomi di fantasia Choukra, Mohammad e Rami, dopo aver trascorso due settimane su una nave GNV a largo di Trapani per effettuare la quarantena, sono state trasferite nel CAS “Liberi Tutti” a Partinico.

Dai racconti di ognuno di loro, la circostanza che viene più sottolineata è il totale disinteresse e lassismo da parte dell’ente gestore. Le loro legittime richieste, come quella di ricevere una prima informativa legale, avere accesso ad un medico o ad uno psicologo o avere degli aggiornamenti sullo stato delle pratiche relative ai loro documenti, ottenevano sempre la stessa risposta: dopo. Dopo, dopo, dopo.

Le testimonianze degli ex ospiti

Una posticipazione ad infinitum che non riguarda solamente l’accesso ai servizi fondamentali a cui queste persone hanno diritto, ma anche le condizioni della struttura, stando alla testimonianza unisona degli ex ospiti. Ci riferiscono infatti che alcune finestre nelle stanze dei beneficiari erano rotte e non potevano essere chiuse. Nonostante le molteplici segnalazioni all’ente gestore e il clima rigido di una zona montuosa come Partinico durante l’inverno, anche in questo caso la risposta era sempre la stessa: dopo.

Ci dicono inoltre che le coperte erano vecchie, sporche, poco calde. Ogni persona disponeva di una sola coperta, pur dormendo appunto con la finestra aperta. Choukra ci dice che a causa di queste condizioni si è ammalato di una brutta influenza, per 20 giorni, durante i quali non gli è stato concesso di vedere un medico, e l’unico medicinale che veniva distribuito a tutti come cura per ogni male era la tachipirina.

Anche in merito alle condizioni igieniche ci riferiscono di gravissime criticità: sedici beneficiari dovevano condividere un solo bagno funzionante, con uno scaldabagno. Choukra ci racconta che spesso faceva la doccia alle 4 di mattina, perché ogni volta che una persona si faceva una doccia bisognava aspettare quattro ore.

Inoltre, a peggiorare le condizioni igienico sanitarie è stata l’inadempienza alle richieste dei beneficiari di nuovi vestiti: come al solito, la risposta era: dopo. Rami ci racconta di una volta in cui gli operatori gli hanno portato dei vestiti che erano sporchi. C’era una lavatrice per il cui utilizzo bisognava prendere appuntamento. Spesso si aspettavano settimane prima di poter lavare i propri panni.

La qualità del cibo, quando c’era, era accettabile, dato che i beneficiari cucinavano da soli. Però spesso mancava proprio la materia prima: Rami ci racconta che, nel giorno in cui lo abbiamo incontrato, non aveva ancora mangiato perché il frigo era vuoto da due giorni; avrebbe perciò dovuto spendere il suo scarno pocket money per nutrirsi. La colazione nel centro consisteva in due pezzi di pane e latte. Il latte molto spesso mancava. Un mediatore che conosciamo e che ha vissuto la stessa esperienza nello stesso centro commenta, e rimarca: “2 fette di pane? Io sono un essere umano, non un uccello!”.

Negligenze e disservizi

Per quanto riguarda l’accesso ai servizi le tre persone che abbiamo incontrato – che in quel momento si trovavano all’interno della struttura da tre mesi – non avevano ricevuto alcuna informativa legale da parte di un operatore legale da quando erano arrivate nel centro. Inoltre, non avevano avuto accesso ad un medico specialista, nonostante Rami ad esempio avesse dei problemi gravi di salute, legati alla sua esperienza di soldato nel suo paese: soffre infatti di problemi agli occhi a causa del lavoro svolto sotto il sole del deserto, e allo stomaco, che necessitano della visita di uno specialista. Choukra inoltre ci racconta che ha lavorato varie volte in nero in campagna, senza tutele alcune e a rischio di essere sfruttato.

In merito ad un’ispezione della Prefettura, i tre ex ospiti ci hanno raccontato che poco prima della visita l’ente gestore ha iniziato a pulire le stanze e a ridipingere i muri. Ci hanno riferito che durante la visita l’atteggiamento della responsabile del centro verso gli ospiti era gentile e disponibile, a differenza dell’atteggiamento tenuto di solito.

Emblematico episodio di negligenza grave, rispetto al quale Choukra, Mohamed e Rami hanno potuto osservare  il disappunto da parte della Prefettura, riguarda un anziano signore tunisino. Il signore ha raccontato, nonostante le pressioni da parte dell’ente gestore che ha ordinato a tutti gli ospiti di riferire alla Prefettura che “è tutto ok”, di aver avuto un ictus a seguito del quale non è stato portato in ospedale.

Choukra ci ha raccontato di un episodio che dimostra anche l’abuso di potere da parte della responsabile: era stato vaccinato, ma non gli era mai stato consegnato il Green Pass. Su richiesta della Prefettura però, la responsabile ha magicamente materializzato il Green Pass di Choukra. Secondo lui l’ente gestore non voleva che avesse il possesso della certificazione in modo da non fuggire al Nord Italia, facendo venire meno un ospite e il relativo contributo economico.

Il centro per minori

All’interno dello stesso stabile, al primo piano, si trova anche un centro per minori, sempre gestito dalla stessa cooperativa. Dai racconti dei tre ex ospiti si può percepire che il livello di promiscuità all’interno della struttura doveva essere molto alto, dato che erano convinti che non ci fosse una reale divisione tra le due comunità.

Le pessime condizioni del CAS e la mancanza di accesso ai servizi fondamentali che comportano gravi violazioni dei diritti dei richiedenti asilo, hanno portato alla chiusura del CAS Liberi Tutti dopo una serie di controlli. La decisione istituzionale trova conferma nei racconti precisi e concordanti che le tre persone incontrate ci hanno fatto, dopo avere subito, stanche ed esasperate, una serie continua di violazioni ed abusi.

Sarebbe il caso, a questo punto, che questa cooperativa non gestisca più alcun centro e che si impedisca l’utilizzo di fondi pubblici per finanziare enti che non hanno alcun rispetto per I diritti delle persone che ospitano e che mancano totalmente di professionalità e trasparenza.

 

Nuvola Galliani