Violenza e resistenze nell’estate siciliana

L’estate siciliana – nonostante la pandemia –  ha ancora una volta visto il tema dell’immigrazione al centro dell’attenzione mediatica e politica, dando vita al solito teatrino di accuse politiche e retorica dell’emergenza. Ma oltre gli scontri politici tra Lamorgese e Salvini e le paternalistiche parole di Minniti su come “gestire il continente africano”, la realtà siciliana racconta di nuove frontiere sanitarie, di privazione di diritti, di morte, ma anche e soprattutto di resistenza.

 

Notizie dalle isole minori

L’estate è cominciata con l’ennesima tragedia. La notte tra il 29 e il 30 giugno, una barca è naufragata a poche miglia dalle coste di Lampedusa; hanno perso la vita nove persone, la maggior parte donne, e i cadaveri – sebbene individuati – non sono ancora stati recuperati.

Da Luglio in poi, a Lampedusa, il sistema hotspot-nave quarantena è entrato in crisi perché i tanti sbarchi, spesso autonomi, hanno riempito tanto l’hotspot quanto le navi, così che sono ripresi i trasferimenti diretti con motovedette verso Pozzallo (che hanno portato al sovraffollamento di strutture a terra, come Villa Sikania). A fine agosto, le persone nell’hotspot sfioravano le 1500 e si è iniziato a parlare di rischio sanitario interno all’hotspot, come denunciato da Legambiente, poiché nel vallone di Contrada Imbriacola si è venuta a creare una discarica a cielo aperto. Infatti le affermazioni più frequenti sono state quelle che sottolineavano che “fra i reflui fognari finiscono anche i liquami di chi è affetto da Covid-19, da difterite e, in passato, anche da tubercolosi”.

Finché a rischio c’è “solo” la salute delle persone dentro l’hotspot poco importa, ma quando sono a rischio il turismo e la cosiddetta salute pubblica – che vanno protetti dalle “malattie straniere” – allora vale la pena interessarsi della situazione. Peraltro, nonostante durante l’estate l’isola registrasse la presenza di oltre 60.000 persone e la rete fognaria fosse scoppiata in altre zone dell’isola a causa di una gestione sregolata del turismo,  ancora una volta, nel surreale dibattito politico-istituzionale lampedusano, la notizia è stata solo quella del “rischio per la salute pubblica” legato all’hotspot.

Lampedusa non è stata la sola isola dove sono arrivate barche e persone. La situazione socio-economica e politica in Tunisia ha infatti portato all’intensificazione dei viaggi su rotte meno utilizzate negli ultimi anni. Se già in inverno e primavera gli sbarchi a Pantelleria erano decisamente aumentati rispetto agli ultimi anni, quest’estate anche sull’isola del turismo d’élite si è iniziato a parlare di “emergenza sbarchi”. Nonostante il centro presente sull’isola, allestito in una ex base militare abbandonata, sia uno spazio minuscolo con livelli igienici anche quando è vuoto, privo di uno status giuridico definito, quest’estate ha avuto dei picchi di duecento persone, con il sindaco che urlava “vogliono far diventare l’isola un campo profughi e io mi opporrò con tutte le forze“, mentre le forze politiche dell’opposizione invocavano “l’impiego dell’esercito italiano per la vigilanza costante e continua del centro“.

D’altra parte, in un’isola dove arrivano turisti internazionali, e che fonda il suo branding sull’essere un’isola irraggiungibile e per questo chic, si potrebbe mai sopportare di dover avere a che fare con chi arriva dal mare e da sud? Questo anche perché, come a Lampedusa, le mura di questi centri che mirano ad escludere sono in realtà piene di “buchi”, da cui le persone escono in maniera autonoma e con intenzioni assolutamente non calamitose: comprare un pacchetto di sigarette, fare una passeggiata, cercare un telefono da cui chiamare a casa.

Se Pantelleria si è consolidata come isola della migrazione, quest’estate ci sono stati anche alcuni sbarchi autonomi a Marettimo e Levanzo, nonché in diverse altre zone del sud Italia, a partire dalla Sardegna, ma anche in Calabria e in Puglia.

 

Resistere al dispositivo quarantena

Ad Agosto, un gruppo di persone che era stato trasferito da Lampedusa ad Augusta è stato fatto salire su una nave quarantena. Le persone però sostenevano di aver già fatto il periodo di quarantena a Lampedusa e si sono ribellate, cominciando a opporre resistenza al tentativo di farle salire a bordo e, una volta sulla nave, hanno continuato a protestare. Non è una novità che le pratiche arbitrarie delle prefetture siciliane e delle forze dell’ordine abbiano trovato nella “tutela della salute” una nuova frontiera di discriminazione e violenza nei confronti di chi arriva via mare in Sicilia. Ma la resistenza attiva delle persone migranti, insieme alle pressioni della società civile, sono l’unico modo per far conoscere all’esterno le sofferenze inflitte da questo sistema di confinamento.

A metà luglio, durante una protesta scoppiata all’interno dell’hotspot di Pozzallo  (utilizzato nell’ultimo anno come centro quarantena) alcuni materassi sono stati dati alle fiamme e, delle 120 persone presenti, 30 sono riuscite ad evadere, e alcune non sono state ritrovate. La resistenza delle persone migranti imprigionate dentro questi luoghi ambigui (davvero si vuole proteggere la salute assembrando persone in un centro con sbarre, filo spinato e telecamere?) è necessariamente una resistenza in cui le persone mettono a rischio la propria vita e che giornali e istituzioni riducono a semplici atti di vandalismo.

E di episodi di fughe e resistenze quest’estate ce ne sono stati molti altri: da Villa Sikania, da Villaggio Mosé, dal centro di contrada Cifali nel ragusano. Centri quarantena o di accoglienza straordinaria dove le condizioni materiali di vita sono degradanti e dove il tempo per le persone si ferma – viene loro “rubato” – nonostante spesso i tamponi siano negativi da diversi giorni. E, tra tutte le persone in arrivo, anche quest’estate chi è stato più preso di mira sono stati i tunisini, criminalizzati e deportati nel giro di poche settimane.

 

La scelta tedesca (e le sue ipocrisie)

In questo contesto, un Tribunale tedesco ha bloccato il respingimento in Italia – paese di primo approdo e in cui sarebbero dovute essere “dublinate” – di due persone originarie di Mali e Somalia. Le motivazioni della corte sono che “in Italia c’è un alto rischio che le autorità non riescano a soddisfare i bisogni elementari come vitto e alloggio”. La sentenza è stata fatta anche sulla base di un report scritto da borderline-europe e l’aiuto svizzero ai rifugiati (SFH).  Alla luce di quanto accade in Sicilia e in tutta Italia da anni, una sentenza del genere non dovrebbe sorprendere, e non è neanche la prima volta che un paese di primo approdo venga considerato “non sicuro”.

È successo e succede ciclicamente in Grecia ed è già accaduto pure all’Italia. Anche se non è la prima sentenza di questo tipo, è la prima durante la pandemia e potrebbe creare un precedente per altri casi in questo contesto. Quello che ci preme sottolineare è però un altro aspetto. Come abbiamo avuto modo di mostrare, insieme ad altre associazioni, nel Report “Eu Ad Hoc Relocations”, negli ultimi anni la Germania si è rapportata all’Italia e alla Grecia in maniera ben diversa: da questi paesi infatti sono state ricollocate in Germania persone originarie di paesi con i quali la Germania aveva accordi di rimpatrio, così che il tasso di rigetto delle richieste di asilo e permesso di soggiorno per questa specifica categoria di persone è stata superiore all’80%. Accordi mirati in nome di una solidarietà nazionale che esclude invece di garantire diritti.

 

Prospettive per l’anno a venire

Gli avvenimenti di quest’estate servono a rilanciare un programma di mobilitazione e attivazione civile che dia sostegno alla mobilità delle persone che attraversano il Mediterraneo, a partire dalle persone tunisine che più di tutte vengono criminalizzate e lasciate morire in mare. Come parte di questa mobilitazione è perciò anche necessario sostenere gli sforzi delle madri e delle donne tunisine alla ricerca della verità sulla morte dei e delle loro familiari, che in primo luogo vuol dire sapere dove si trovano i loro corpi. La cooperazione tra le due sponde del Mediterraneo è fondamentale per combattere questo sistema.

È però importante anche guardare a quello che continua a muoversi su quest’isola. Hanno riaperto i due Cpr di Trapani Milo e Caltanissetta Pian del Lago. Il monitoraggio della società civile è fondamentale per aiutare chi si trova rinchiuso in questi luoghi nonché per denunciare le violenze che avvengono nei centri. E in quest’ottica, servirà anche grande attenzione sul Cara di Mineo, dove, dopo l’arrivo di 700 persone provenienti dall’Afghanistan nella base di Sigonella, due ditte di pulizia e ristrutturazione sono all’opera per riqualificare le palazzine del centro, anche se non è chiaro per quali scopi.

Ultimo, ma non meno importante, è, in quest’estate di boom turistico nella regione, la situazione dei lavoratori e delle lavoratrici nel settore agricolo – l’inizio della raccolta delle olive a Campobello è alle porte -, ma anche di tutti i lavoratori e le lavoratrici che hanno trovato un lavoro – spesso irregolare – nei retri delle cucine o nel settore turistico.

 

Redazione Borderline Sicilia