Insultare gli immigrati sui social è reato, dal Tribunale di Ragusa le prime condanne

Vita.it – “Prima in ospedale e poi in galera”, sono solo alcune delle offese che a settembre 2014 erano apparse su Facebook a seguito di una notizia di cronaca riguardante un gruppo di tunisini.

L’associazione Borderline Sicilia aveva presentato la denuncia e oggi in assenza di un regolamento sul comportamento digitale interviene la giurisprudenza con una storica condanna.

Il Tribunale di Ragusa mette un freno alle sempre più frequenti incitazioni all’odio razziale sui social e lo fa con una condanna nei confronti di tre persone del Ragusano, tra cui un ex consigliere comunale di Modica, accusate di istigazione a delinquere in base all’articolo 414 del codice penale per i loro commenti razzisti pubblicati su Facebook a seguito di una notizia di un giornale online che trattava un episodio di cronaca che riguardava una lite avvenuta a Modica a settembre 2014 tra italiani e un gruppo di immigrati, nel caso specifico tunisini.

A presentare la denuncia ad ottobre dello stesso anno è stata l’associazione Borderline Sicilia che da circa 15 anni si occupa della tutela dei diritti delle persone immigrate: «Aspettiamo di leggere le motivazioni della sentenza che comunque già rappresenta un monito per chi utilizza i social network, anche per chi ricopre un ruolo istituzionale: un segnale importante verso la lotta ad ogni forma di discriminazione e razzismo. La nostra esperienza dimostra che questi fatti vanno denunciati perché costituiscono reati a sfondo xenofobo in un contesto culturale in cui le affermazioni razziste vengono addirittura confuse con la libera espressione del pensiero. E purtroppo dal 2014 ad oggi la situazione è andata sempre più peggiorando», commenta a Vita Judith Gleitze, presidente di Borderline Sicilia.

Le frasi incriminate pubblicate su Facebook vagliate dai giudici di Ragusa non sono così diverse da quelle che da anni ci si ritrova sempre più di frequente sulle bacheche di associazioni o siti di informazione. “Perché non li spedivano prima in ospedale per un sei mesi e poi in galera?”, oppure in siciliano: “quando dite iu ci sugnu, ramu na bella puliziata”, “quando volete chiamatemi e facciamo un po’ di pulizia”, “ci vuole una bella disinfestazione”, e ancora “mi unisco alla Sco… di gruppo, adoro pulire e punire” e poi sempre la stessa persona si rivolge alle forze dell’ordine: “Forze dell’ordine prima di fermarli sedeteli sulla carrozzina e dopo saranno loro stessi a voler restare dentro o meglio a casa loro” e poi ancora un lungo corollario di insulti.

In assenza di una regolamentazione che non sia affidata esclusivamente ai social stessi è dovuto quindi intervenire un tribunale attraverso la denuncia di un’organizzazione della società civile per porre l’attenzione sul significato di cittadinanza digitale punendo chi e sempre più di frequente utilizza l’hate speech per rivalersi contro i migranti.

 

Alessandro Puglia